martedì 6 aprile 2021

 IL MISTERO DELLA CARBONARA

Alle origini di un successo

    

    

    

 


 


Il Mistero della Carbonara

Per come le intendiamo oggi le innovazioni nel campo dell’alimentazione e l’evoluzione del modello alimentare, sono fenomeni abbastanza recenti. Ancora fino a qualche anno fa, a determinare il tipo di alimentazione era in gran parte il territorio e le risorse che da esso era possibile ricavare. Solo sporadicamente poteva capitare che la dieta fosse integrata da prodotti nuovi da elaborare o anche solo da consumare.

Ancora più rari erano gli avvenimenti in grado di modificare radicalmente il modello alimentare di una popolazione. Tutt’al più poteva accadere che ad anni grassi, seguissero anni magri. Ad ogni modo, e nonostante la sporadicità di questi eventi, ogni tanto pure capitavano. La scoperta di un nuovo continente ed il conseguente arrivo dei prodotti del Nuovo Mondo è forse uno dei più noti di questi avvenimenti, però non è di questo che intendo discutere ora.

Anche la guerra, con i suoi lutti e le sue miserie è stata spesso all’origine di questi mutamenti; ed io proprio di uno di questi intendo parlarvi.

Noi e la carbonara

Tra le diverse ricette della cucina italiana che abbiano raggiunto una qualche popolarità internazionale, quella della Carbonara è indubbiamente una delle più note. Eppure nonostante la fama raggiunta sulle reali origini di questa pietanza sappiamo molto poco.

La ricetta degli spaghetti alla carbonara comparve infatti quasi dal nulla, sul finire del secondo conflitto mondiale a Roma. Per il resto non ne sappiamo nulla, o quasi.

Proprio questa sua repentina apparizione in alcune osterie di Roma, oltre alla singolarità del suo nome ha fatto sorgere qualche ipotesi sulla sua origine. Alcune di esse sono difficilmente documentabili, altre sono solamente improbabili e, nonostante le numerose ricerche effettuate fino ad ora, nessuna è stata in grado di dare una risposta esauriente all’argomento.

 

La ricerca nasce quindi con lo scopo di fornire qualche risposta alle numerose domande che sono sorte sulla origine di questa pietanza.

In particolare essa si prefigge di:

1)      determinare l’origine Romana, ma non romanesca della ricetta;

2)    dimostrare l’assoluta improbabilità che avevano i carbonai di montagna di realizzare la pietanza.

3)     Illustrare tramite l’ausilio delle fonti documentate una plausibile origine della pietanza.

 

Siamo consapevoli di non poter essere in questo esaustivi, ma siamo anche ragionevolmente convinti che nulla poggi, o abbia origine dal nulla, né i giganti ed ancor meno le ricette della nostra tradizione.


A proposito di giganti, o di “geni”, ed anche per comodità del lettore proponiamo di seguito l’articolo apparso sul sito “
La scienza in cucina”, nella rubrica curata dal dott. Dario Bressanini, intitolata Le ricette scientifiche: la carbonara, apparso nel febbraio del 2008. La breve analisi  curata dal noto ricercatore sintetizza alcune delle principali ipotesi accreditate[1].


“C’è chi sostiene che forse questo piatto deve il suo nome a dei boscaioli che andavano sull’appennino a far carbone di legna e che portavano con sé pancetta, uova e pecorino, con cui condire la pasta… Un’altra teoria fa risalire la carbonara ad un nobile napoletano, Ippolito Cavalcanti nel suo libro “La cucina teorico pratica”.  Ma a quanto pare nel libro la ricetta più simile non ha né guanciale né pancetta, e le uova sono stracotte.
La teoria più affascinante, che spiegherebbe l’assenza di tracce nella tradizione popolare, fa risalire la carbonara alla liberazione da parte degli alleati. Così descrive questa ipotesi l’enciclopedia della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti[2]: “quando Roma venne liberata, la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuire dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta.”

 

Sono quindi tre le principali ipotesi in campo: la prima riconduce la ricetta alla particolare alimentazione dei carbonai appenninici. La seconda, quella “napoletana” intravvede in un ricettario della prima metà del XIX secolo una sua possibile origine; ipotizzando un collegamento tra cucina napoletana e la ricetta della carbonara.

La terza ipotesi vede coinvolto il genio di un ignoto oste[3] “romano” (con l’inconsapevole contributo delle truppe alleate[4] o, più propriamente, delle razioni alimentari di cui quelle stesse truppe erano fornite).

A questo riguardo riteniamo che la seconda e la terza ipotesi siano quelle maggiormente probabili, soprattutto alla luce del fatto che il coinvolgimento delle truppe alleate è uno degli argomenti che torna con maggior frequenza in queste ipotesi; ed è proprio nella lettura di questo particolare aspetto una delle ragioni che danno forza a queste ipotesi.

 


 

Le tesi a confronto

I carbonai dell’Appennino.

La conformazione orografica della penisola è da millenni caratterizzata dalla presenza di una lunga dorsale appenninica che gode di un clima per lo più temperato.  La presenza di cime non troppo elevate ed un clima relativamente favorevole (precipitazioni e sole), hanno di fatto favorito lo sviluppo un ampio manto boschivo.

La presenza di questa folta vegetazione arborea ha rappresentato una delle principali fonti di sostentamento per le popolazioni appenniniche. Infatti tra le attività legate allo sfruttamento di questa risorsa spicca, per il suo carattere di tipicità l’opera dei carbonari.

Nell’alimentazione di queste persone alcuni hanno ritenuto di individuare l’origine della ricetta: e nella loro professione quella  del nome.

L’alimentazione in montagna[5]

Il vitto dell'agricoltore del monte risultava in generale: “scarso e poco nutritivo; rara è per loro la varietà del cibo, e si riscontra soltanto in qualche famiglia alquanto più agiata (...) Il vitto ordinario è quasi unicamente basato sul granturco. Questo cereale,ridotto in farina, viene impastato con acqua e sotto forma di schiacciata, detta pizza, è cotto nel forno per fare il pane e servito in tutti ì pasti quotidiani. Altra farina di granturco è cotta nell'acqua, rare volte condita con sale ed olio, lardo, ricotta o verdura, e forma la polenta, la quale rappresenta la minestra giornaliera del coltivatore.

Evidente la  frugalità dei pasti degli agricoltori di montagna. Scarso era l'uso di salumi e del pesce. Pressoché sconosciuta la carne come pure era assente l'uso del vino.

Questo il risultato di due diverse analisi sull’alimentazione contadina dell’Appennino centrale, ma le stesse osservazioni possono essere fatte per tutte le popolazioni dell’Appennino centro meridionale:

l'alimentazione è sempre incompleta, sovente costituita da cibi malsani. Il grano e il granturco sono ordinariamente avariati, i legumi cattivi, il formaggio magro; e così via discorrendo. I coltivatori poveri, generalmente, dei pochi cereali e cibarie che producono, vendono i migliori per raggruzzolare poche lire, e ritengono e spesso comprano per l'alimentazione loro e delle loro famiglie tutto quel che v'ha di peggio. Questo è il regime generale delle famiglie; anche più triste è quello dei braccianti.

 “Il vitto quotidiano dei contadini poteva essere sufficientemente ricco nella fascia mediana, pianeggiante,«specialmente ad oriente della via Emilia», ma «peggiorava (…) rapidamente quanto più ci si avvicinava alle terre basse del Ferrarese e del Ravennate, oppure se dalla collina si saliva verso la montagna»[6]

 

 

La vita dei carbonai

Come vivevano

Ricavare carbone dalla legna è stata per secoli una delle principali attività di sussistenza delle comunità montane appenniniche. In particolare in quei mesi che andavano dall’inizio della primavera ad autunno inoltrato,[7] gran parte della popolazione maschile di quei paesi si spostava nella boscaglia per raccogliere legna da trasformare poi in carbone.

Una baracca riadattata anno per anno, un pagliericcio ed un’alimentazione frugale, caratterizzava la vita di questi uomini per interi mesi dell’anno. L’alimentazione di quegli anni, già di per se povera, veniva ottenuta per lo più dal sottobosco o dal saltuario approvvigionamento presso agricoltori locali.

Il brano che segue, un antico canto carbonaro, ben sintetizza questo aspetto del vivere quotidiano di queste genti:

 

Io sono stata a Cetica e a Raggiolo

E l'ho ben vista la vita che fanno

Mettono tre castagne in un paiolo

E con quell'acqua la minestra fanno

 

Così di contro e di triboli un so' soli

Con quello si diverton tutto l'anno

Ci passano l'inverno e anche l'estate

A forza di polenta e di patate

 

O montagnol chi t'ha distrutto i denti?

Le brice cotte e i marroni roventi

O pianigian chi l'ha distrutti a voi?

I rapi cardi son cibo da buoi

 

Si trattava di una dieta composta in prevalenza da alimenti facilmente reperibili nel  sottobosco, ad essi era inoltre richiesta la semplicità nella preparazione.

Bisogna ricordare come ancora agli inizi XX secolo l’aspetto economico rivestisse un ruolo fondamentale nel determinare l’alimentazione del popolo nella diverse zone del paese.[8] Un aspetto questo, che assumeva una rilevanza anche maggiore nelle poverissime zone dell’Appennino.[9]

Comunità che vivevano per interi mesi dell’anno nelle impervie zone interne di quei monti.

Questo aspetto rende improbabile l’uso, anche saltuario, di prodotti quali il burro, il pepe, il parmigiano e le paste secche. Prodotti che in quegli anni erano ancora cari, oltre che facilmente deperibili; soprattutto se li si rapportata alle particolari condizioni nelle quali i carbonai operavano.

Non è quindi ipotizzabile un uso sistematico di prodotti così cari e con una modalità di preparazione tanto complessa.

Si tratta di aspetti i quali sommati all’assenza di testimonianze che possano confortare questa ipotesi, inducono a ritenere la stessa tesi altamente infondata.

 

Tuttavia, non possiamo escludere che i carbonari di città[10] possano invece aver svolto un qualche ruolo, se non nella genesi della pietanza, almeno nella sua denominazione.

 

La romana

Per come la conosciamo oggi la carbonara è indubbiamente una specialità della tradizione romana. Tuttavia, come vedremo di seguito, se la sua romanità non pare in discussione, difficilmente possiamo dirla una ricetta romanesca.

Il fatto è confermato anche dall’ assenza della ricetta[11] nelle pur numerose fonti che descrivono le abitudini alimentari del popolo romano di quegli anni.[12]

 

Le fonti romane[13]

Spaghetti gialli.  Fate cucinare al dente… spaghetti (uova, burro e parmigiano), p. 73

Come si nota questa ricetta propone una carbonara sui generis; in quanto diversa sia nel nome che in alcuni ingredienti. Tuttavia si tratta di uno dei primi esempi estranei alla cucina napoletana nel quale venga proposta una tecnica analoga a quella della Carbonara.

1950 – La Stampa

26 Lug.  Ambientazione: Roma. Il Papa ha passato il ponte – “…gli ufficiali americani giunti in Trastevere parecchi anni or sono in cerca di spaghetti alla carbonara.

 

Questa potrebbe essere in assoluto la prima testimonianza storica di una Carbonara. Come si evince dalla lettura di questo articolo, sia gli americani che il formato di pasta erano chiaramente indicati. Sembra evidente che sia le truppe alleate che gli spaghetti compaiano da subito. Inoltre il riferimento “all’arrivo alcuni anni prima” induce a ritenere che quelle truppe di “americani” giunsero in Roma provenienti da altre parti d’Italia. (Salerno, Napoli, Anzio)

 

1951 – Lunga vita di Trilussa

Ambientazione: Roma – all'assalto degli spaghetti "alla carbonara" o "alla

carrettiera", se non ha di scorta due o tre forchette ottime come la sua.” Pag. 101

 

La presenza della ricetta in una biografia di Trilussa (m. 1950), sembra confermare la tesi che vede la pietanza già nota, nei primi anni di questo decennio, in molte osterie di Roma.

 


 

1951 – Cameriera bella presenza offresi

LungometraggioGiorgio Pàstina. Ambientazione: Romamin. 62:30 ca. — “Spaghetti alla carbonara

 

La poca dimestichezza nella preparazione domestica mostrata dalla cameriera, assieme ad alcune considerazioni precedenti, sembrano confermare un uso non domestico della pietanza.

 

4 mag. Ambientazione: Roma – Alberto Moravia, Il Pensatore “Poi ordinò per sé stesso tutta roba sostanziosa: Spaghetti alla carbonara, abbacchio con patate, puntarelle e alici”, al termine della I colonna.

 

Nel racconto di A. Moravia la Carbonara viene consumata in una trattoria.

 

17 lug. Ambientazione: Roma – Il signor Peck [14]in campagna. Lei ha iniziato gli ospiti sopravvenuti al gusto degli spaghetti alla carbonara, della pizza…

 

In questo caso sebbene la pietanza venga consumata in casa dell’attore G. Peck, si ha l’impressione che i due americani che organizzano la cena, propongano una curiosità gastronomica, assaggiata chissà dove.

Dic. Vittles And Vice; an Extraordinary Guide to What's Cooking on Chicago's Near North Side. Chicago: H. Regnery Co. Ricetta del ristorante Armando: Contesto apparentemente toscano. Pasta Carbonara[15]. Tagiarini (Thin Wide noodles), Mezzina (italian Bacon), uova (4 intere), parmigiano grattugiato. La ricetta non contempla il pepe.

 

Questa è con molta probabilità la prima ricetta per una Carbonara, di cui si abbia testimonianza; ed è anche quella nella quale il formato di pasta, nonostante siano passati oramai alcuni anni dalla sua comparsa, non sono gli spaghetti.

La ricetta compare in una guida alla città di Chicago (U.S.) dei primissimi anni 50 del novecento. In essa  tornano gli “americani”; il formato in questo caso è  diverso da quello canonico degli spaghetti. Per il resto la ricetta pur non proponendo il pepe tra gli ingredienti, è simile a quella attualmente maggiormente diffusa. Non figurando in essa ne il pecorino, e nemmeno il guanciale.

 

25 mar. Ambientazione: Roma – Senza neanche una rondine… “E fa piacere sentirli comandare con evidente cognizione di causa un piatto di spaghetti all’amatriciana o alla carbonara…”

Si ritorna in Italia e ritornano anche gli spaghetti.

21/22 giu. Ambientazione: Roma – Grave accusa. “la Trattoria dell’Archeologiaè un locale campestre… vistosi cartelli annunciavano le delizie degli spaghetti alla carbonara…”

 

Le trattorie/osterie sono in questi anni una certezza. Manca invece ogni riferimento sia alla cucina domestica romanesca che al guanciale e al pecorino.

 

1954 – Herbert L. Matthews, News of Food

July 12There is still another secret recipe for spaghetti in Rome… It is to be found at the Trattoria al Moro…Spaghetti alla Moro is a variaton of the newest fashion in spaghetti sauces – spaghetti alla carbonaraPag. 16

 

Vedi sopra.

21/22 ago. Ambientazione: Roma. Vinceranno gli spaghetti – “Roma interessa molto i delegati dell’UCI… e sulle tavole gli spaghetti alla carbonara

 

Vedi sopra.

29/30 sett. La signora che fa il giro del mondo – “Avete incluso gli spaghetti alla carbonara nel vostro libro?”[16] Intervista a Myra Waldo.

 

Vedi sopra.

23/24 ott.  Ambientazione: Roma. Innamorata dell’Italia. – “La si vide (Linda Darnell, N.d.A.) allora nelle trattorie tipiche della capitale… nell’atto di mangiare un classico piatto di spaghetti alla carbonara

 

Anche questa testimonianza ribadisce il concetto che vede la pietanza, nota tra gli “americani” che paiono abituati a consumarla quasi esclusivamente nelle trattorie.

1954  – Racconti romani

Ambientazione: Roma – A. Moravia, “Poi ordinò per sé stesso tutta roba sostanziosa; spaghetti alla carbonara...” Pag. 75

 

Si tratta dell’ennesima fonte romana. Gli spaghetti anche in questo caso sono il formato di pasta predefinito, ed il consumo non è domestico.

 

Rigatoni, Spagetti, noodles…

Maccheroni alla carbonara: Prosciutto, Bacon o coppa, burro, uova (Albume e tuorlo), parmigiano.

 

Nella ricetta di Elizabeth David, la seconda di cui disponiamo, il formato di pasta tende a variare, non mancano tuttavia nemmeno in questo caso gli “spaghetti”.

La ricetta, non comprende ne il pecorino e nemmeno il guanciale. La presenza del parmigiano  potrebbe essere all’origine di qualche equivoco nell’attribuzione della pietanza.[17]

 

1954 – Harper's Bazaar

Spaghetti alla carbonara, Pag. 6 

Tornano gli americani e anche gli spaghetti.

 

1954 – Italiane Affairs

Ambientazione: Roma – “Special dishes of the region are “... and spaghetti “alla carbonara"” Vol. 3 — Pag. 385

 

Vedi sopra.


 

“was Spaghetti alla Carbonara, made with a hot sauce of baconegg and pepper.” Vol. 15 — Pag. 66

 

Vedi sopra.

1954 – Cornelius Vanderbilt -European Travel Directory

Ambientazione: Roma – "Some of the specialties obtained in Rome are:.. noodles alla papalina and alla carbonara...” Pag. 322

 

 

Agosto – Nell’ edizione di questo mese compare la prima ricetta completa di una carbonara in un testo italiano. La ricetta è la n. 278

 Spaghetti alla carbonara (Spaghetti, Pancetta, Gruviera, aglio, Uova intere, Sale, Pepe).

 

Gli ingredienti sono quelli canonici, fatta salva l’aggiunta del gruviera e dell’aglio.  Anche in questo caso, nonostante siano oramai passati diversi anni dalla prima apparizione della ricetta,  non vengono menzionati ne il   Guanciale e nemmeno del pecorino, oramai tipici della cucina romanesca.

 

27/28 apr. Innamorata dell’Italia – “Valter se ne ricorda Marisa aveva cucinato apposta per lui gli spaghetti “alla carbonara”

Consumo domestico, tuttavia in un contesto tipico della Hollywood sul Tevere.

 

“Maccheroni alla carbonara. Un uovo ogni etto di pasta, parmigiano, pepe.


Nel testo di questo ricettario è presente una delle prime ricetta di una Carbonara pubblicate in Italia. Questa volta il formato viene indicato genericamnete come maccherone. Sono ancora una volta presenti il parmigiano e la pancetta. Manca invece ogni riferimento sia al pecorino che al guanciale, ritenuti oggi ingredienti classici della Carbonara.

 

1955 – Anita Daniel – I Am Going to Italy

Ambientazione: Genova. “eaten in Genoa...the Sicilian spaghetti alla carbonara.” Pag. 70

 

Gli” spaghetti alla carbonara” sono per la prima volta riportati ad un contesto non Romano.  La ricetta infatti pur riproponendo nuovamente come formato gli spaghetti, compare a Genova indicata originaria della Sicilia (regno?)

 

1956 – La Provincia di Cremona

11 lug. Ambientazione: Lombardia. Locandina pubblicitaria – Il famoso chef toscano… (nuova gestione) …spaghetti alla carbonara”

 

La ricetta comincia ad assumere una notorietà nazionale , fino al punto da aver ramai raggiunto anche le città di provincia. Questo è il secondo riferimento ad una ambientazione toscana  che troviamo nelle prime fonti.

 

30 lug. Ambientazione: Roma. L’Alimentazione Razionale – “...o degli spaghetti con l’uovo e la pancetta fritta, che a Roma vengono serviti in molte trattorie con diversi nomi: alla carrettiera, alla carbonara, alla montanara

 

La ricetta non pare essersi ancora affermata in un contesto domestico. La fonte ribadisce l’origine romana della pietanza; tuttavia mancano del tutto sia il Pecorino che il Guanciale (non la Pancetta)tipici della cucina romanesca.

 

29 set. Ambientazione: Roma – “L’unico posto in cui si mangiano gli autentici, consacrati spaghetti alla carbonara e le migliori code alla vaccinara: «Romoletto», «Cacarella», «Cisterna», «Checca»”

 

Vedi sopra.

 


 

2 ott. Ambientazione: Roma “Disordine alimentare” – “la coda alla vaccinara e gli spaghetti alla carbonara e la pagliata”

 

Vedi sopra.

1956 – Letitia Baldrige Roman candle

Ambientazione: Roma – “...or twirling Spaghetti alla Carbonara ...” Pag.176

 

Ancora l’Aerica, ancora Roma e gli spaghetti.

 

18/19 mar. Ambientazione Roma“Perla nera” – “saprebbero forse preparare gli “spaghetti alla carbonara” meglio di un oste locale”

Vedi sopra.


 

8 ago. Ambientazione: Roma. Con Ollio il mondo ha perso…  – “Nel 1950, a Roma, durante un viaggio ... mangiò cinque piatti di spaghetti alla carbonara…”

 

Vedi sopra.

1957 – R. Hammond, G. Martin - Eating in Italy

A Pocket Guide to Italian Food, Richard Hammond, ‎George Martin — “Spaghetti alla Carbonara (…) in a sauce made with eggcheese and bacon, or prosciutto” Pag. 7 e 97

 

Vedi sopra.

1958 – Leonida Rèpaci – Il pazzo del casamento

Ambientazione: Roma. Invece lui deve restare a Roma… gli spaghetti alla CarbonaraPag. 41

 

Vedi sopra.


 

1958 – Daly, Dorothy – Italian cooking

Spaghetti with BaconEgg, And Onion [19]

Anche in questo caso troviamo la ricetta menzionata in un contesto “americano”,ì.

Bucatini alla carbonara”.[20] Ingredienti: Cipolla, Pancetta, Tuorli, Pepe, Parmigiano, Bucatini.

 

Si tratta del primo riferimento ai bucatini alla carbonara. Oltre all’isolita presenza della cipolla, che invece è diffusa nella pasta “caso e ova” di scuola napoletana. La ricetta anche in questo caso segnala tra gli ingredienti, il parmigiano e la pancetta.

 

1959 – P. van Blättjen

Ambientazione: Roma. Diamanten, Gold und Tränen – Es gab Spaghetti alla carbonara…” pag. 243

 

1959 – Luisa de Ruggeri

Spaghetti alla carbonara, spaghetti, cipolla, burro, pancetta affumicata,  vino bianco secco, uova, parmigiano grattugiato, sale e pepe q.b.

 

1960 – Holiday

Ambientazione: Roma. For example, carbonara spaghetti (or fettuccini, a flat spaghetti, as it so often is in Rome) is a Roman speciality. Vol. 27 – Pag. 110

 

1960 – Segnati a dito, Uberto Paolo Quintavalle

Le porzioni di spaghetti alla carbonara ...” Pag. 122

 

1960 – Harper's Bazaar

Ambientazione: Roma – “Spaghetti Carbonara (spaghetti with egg and bacon Sauce) ...” Vol. 93 — Pag. 103

 

1960 – The Saturday Evening Post

Trad. T.d.A.

“Sembra ci sino diversi modi di preparare la Carbonara. Tuttavia il risultato è essenzialmente lo stesso”

 

1960 – Yvon De Begnac – Colpo di stato

Ambientazione: Roma – “Tra un piatto e l'altro di «lasagne alla carbonara» servite al «Nuovissimo Fredi», ristorante di grido della Capitale” Pag. 103.

 

Si tratta di uno dei pochissimi casi nei quali il formato indicato per la Carbonara non sono gli spaghetti.

1960 – L. Carnacina e L. Veronelli - La Grande Cucina

Spaghetti, Ganascia di maiale (Guanciale), olio, uova intere, Parmigiano, sale, pepe, burro, panna liquida.

Oltre dieci anni dopo le sue prime apparizioni, il cuoco di origine romana L. Carnacina, menziona il Guanciale tra gli ingredienti di questa ricetta. Il pecorino invece non aveva ancora sostituito (se non come variate) il Parmigiane nemmeno per L. Carnacina.

Nel resto del mondo

A parte le pubblicazioni di oltre oceano la prima menzione della pietanza esterna ad un contesto italiano compare nel 1962 in Francia:

Le temps d'avaler un spaghetti alla Carbonara miraculeux - et les Français s'obstinent à dire qu'il n'y a pas de cuisine italienne.

Racconto di genere giallo.

Ricapitolando:

1)      Non si hanno notizie di una preparazione “alla carbonara”, nei testi della cucina prima del 1950[21]

2)      Nei pochi casi nei quali le fonti menzionano gli ingredienti, il pepe non compre quasi mai.[22] Il che lascia supporre una presenza non invasiva della spezia.[23]

3)      Nel 1952 la pietanza è già presente in alcuni ristoranti degli Stai Uniti.

4)      La carbonara viene ricondotto, sempre o quasi, ad un contesto di trattorie romane.

5)      Gli spaghetti sono di gran lunga il formato di pasta più citato dalle fonti.[24]Oltre ad essere quasi sempre presente nelle prime versioni della ricetta,

6)      La salsa base (quando riportata) contempla la presenza di: Uova (intere)Pancetta (talvolta assimilato al bacon[25], altre volte il lardo) e parmigiano grattugiato, mai il pecorino o il guanciale.

7)      La ricetta non viene mai ricondotta ad un uso domestico, romano o laziale.

 

Ciò consente di fare alcune considerazioni sul carattere delle primo ricette di Carbonara, ed ancor più su come essa divenne parte della tradizione romana.

 

Gli ingredienti

Alcuni ingredienti conferiscono da subito una precisa connotazione alla pietanza; e questo capita anche quando la ricetta compare in un contesto non proprio gastronomico.[26]  Ciò pare in contraddizione con coloro che ritengono che nella sua versione “classica” della ricetta, siano previsti questo o quell’ingrediente tipico della cucina laziale. Anzi non sembrano esservi dubbi sul fatto che la carbonara nasca già alla “alla carbonara”, con ingredienti estranei tradizione romanesca . Infatti al di là dei limiti proposti dalle fonti non sembrano esservi dubbi sul fatto che essi siano da subito: formaggio grattugiato,[27] (mai pecorino, quasi sempre il parmigiano[28]), uova intere e pepe, per la salsa. Per quanto riguarda invece il formato di pasta suggerito, si tratta quasi esclusivamente di spaghetti, anche esso un formato desueto nella cucina laziale.

Degli oltre quaranta casi presi in esame, cioè tutte fonti della ricetta a noi note fino agli anni sessanta. Ben ventiquattro[29] si rifanno chiaramente ad un contesto romano. Fatto ancor più rilevante se si tiene conto che ciò è vero soprattutto per primissime fonti qui esposte. Per gran parte del decennio (1950/60) la pietanza viene detta di “Spaghetti alla carbonara”, individuando in questo formato uno dei principali ingredienti della ricetta. Solo successivamente compaiono altri formati; tra i quali si segnalano le fettuccine, i bucatini e i taglierini.[30] In almeno nove dei casi non è stato possibile individuare la località a cui si fa riferimento nel testo.

Per quanto riguarda la mancanza di fonti “romanesche”, dobbiamo osservare che la maggioranza di queste fonti sono da ricondurre a pubblicazioni in lingua inglese;[31] per lo più articoli di cronaca mondana. Si tratta di un dettaglio non irrilevante che da maggior corpo alla ipotesi che vede la pietanza nota in molte osterie e ristoranti della capitale, mentre essa pare ignorata dalla cucina casalinga romanesca.[32] Resta da segnalare il fatto che, nonostante si tratti di una ricetta relativamente recente, non è insolito trovarne traccia in pubblicazioni di oltre oceano ed anche in qualche ristorante di quel continente. A questa precoce notorietà “americana” non è azzardato ipotizzare che abbiano contribuito, in maniera non passiva, i molti reduci “alleati” delle campagne d’Italia.

Di Roma ma non romana.

Resta da chiedersi: Ma prima? Possibile che la ricetta sia il risultato di una intuizione ex novo di un anonimo oste romano?

Che essa non abbia alcun collegamento con la nostra antica tradizione?

Proprio questo aspetto, cioè l’insolita metodologia adottata nella sua preparazione: sia nella tecnica che in alcuni ingredienti, ha costituito uno dei principali motivi di curiosità dei gastronomi nostrani.


La tesi napoletana

Nel corso degli ultimi anni si è fatta strada una nuova ipotesi che vede coinvolto nell’origine della pietanza, un testo di cucina popolare napoletana,[33] stampato nella prima metà del XIX secolo.

 

La tecnica della carbonara

Come abbiamo già avuto modo di rilevare, la particolare tecnica adottata nella preparazione della pietanza ha suscitato non pochi dubbi tra i molti studiosi della materia.

Condire una pasta con una salsa di uova crude, formaggio e pepe, è apparsa ai più una pratica estranea alla nostra tradizione gastronomica.

Ancora nei primi anni Settanta dello scorso secolo, epoca nella quale la ricetta divenne sempre più popolare; nessuno dei gastronomi nostrani sembrava essere a conoscenza di una simile procedimento. Tanto meno se applicato, come accade per la carbonara, alla preparazione di una pasta asciutta.

Formatisi alla scuola di Carnacina o, nella migliore delle ipotesi, sui testi dei rinomati cuochi d’oltralpe, riconducevano la nostra tradizione quasi esclusivamente all’Artusi[34] ed al Cugnet o, nel caso di riferimenti più dotti ai Maestri di epoca rinascimentale. Di fatto era loro quasi del tutto ignota la cucina di una intera parte del paese, invero la più antica[35] e forse più diffusa della nostra tradizione, quella del mezzogiorno italiano.

Tuttavia se solo avessero prestato attenzione ad un ponderoso ricettario comparso nel 1965[36], avrebbero forse potuto scorgere, tra le mille e più ricette che l’autrice proponeva, alcuni indizi rivelatori.


 

Le fonti napoletane

Questa parte del racconto può risultare indigesto ad alcuni, tuttavia a parte questo fatto bisognerà riconoscere che le cose andarono proprio in questo modo.

1450 – Anonimo cuoco napoletano, (ms. Bühler, 19)

La prima carbonara? Per il riso.[37]

 “Piglia una pignata he mettice brodo grasso he magro he fa bullire; he poi piglia lo riso bene nettato he piu volte lavato cum aqua tiepida, he metello dentro he fa bulire menando cum lo cughiaro alcuna volta che non se apichi alla pignata; poi, quando serra cotto, piglia ova he caso gratato, sbatuto ogni cosa insieme, cum uno pocho di pipere; poi fa le scutelle

 

La stessa ricetta, con annesso procedimento di mantecatura finale, venne riproposta (con alcune variazioni) anche dal Messisbugo[38] e dallo Scappi. L’uso di questa salsa è dunque una tradizione antica nella cucina napoletana soprattutto negli ultimi secoli, non condivisa con altra tradizione regionale italiana.

 

1634 – G.B. Crisci, Lucerna de corteggiani

“Minestra di cocozza ripiena di cacio uova e erbette”

Dove il termine “ripiena” è da intendersi come “condita”, [39].

Sempre nella “Lucerna” vengono menzionate numerose minestre che richiamano una preparazione analoga a quella della “carbonara”. Tra queste segnaliamo:

Semola ripiena con cacio vecchio, provola, uova

Menestra di cocozze con cacio uova e spezie Pag. 106

Millefanti[40] stufati con cacio e pepe

Menestra di cocozze con cacio uova e spezie Pag. 123,

Menestra di piselli cacio uova e manteca”[41]

Trippa callosa cacio e pepe Pag. 76

 

“Menesta de pesielle” p. 273, Menesta de cocozzielle” p. 274, “Risi co caso e ova”[42] p. 316.

 

1844 – I. Cavalcanti, id. Ed. IV, 1844

 Paternostri incaciati con ovi, Pag. 175

Quella del Cavalcanti è una delle prime ricetta di “carbonara/cacio e uova” con la pasta.

Spezzatiello con salsa di Uova, formaggio e pepe, Minestra di cocozzielli, pag. 15 (uova sbattute e formaggio N.d.A.), Maccheroni con cacio e uova, di fatto una “carbonara” con la pasta.

Una ricetta di “cacio e uova” con la pasta, simile alla carbonara, viene riproposta dal Palma una quarantina di anni dopo quella del Cavalcanti.

“Tubetti. A Napoli si dicono Paternoster, (MOSINO, 2011) formaggio ed uovo” (Caso ova e pepe) N.d.A.


 

1965 – Francesconi J.C. – La Cucina Napoletana

 Zuppa di trippa alla napoletana, ed altre. Pag. 111 ricetta, 101.

Tubetti cacio e uova, p. 156.

Minestra di zucchini e uova (pancetta e parmigiano) N.d.A. Pag. 38

Minestra di zucchini cacio e uova. (e pepe N.d.A.)

Perché dubitare?

Queste sono solo alcune delle fonti che consentono di cogliere una analogia tra queste ricette, e la preparazione della carbonara.

Bisogna segnalare come questo evidente filiazione tra la Caso e uova di scuola napoletana e la romanissima carbonara sia stato a lungo disconosciuta e sottovalutata.

Inoltre questa particolare combinazione di ingredienti (uova, parmigiano e pepe), tipica della tradizione campana era di fatto un unicum nel pur ricco panorama della cucina italiana.

Infatti nessuna delle numerose tradizioni regionali italiane proponeva procedimenti analoghi precedenti a questi.

Un altro aspetto che avrebbe tratto in inganno alcuni ricercatori cosiste nella presenza del formaggio parmigiano, un igrediente certamete non napoletano ma molto più comune del pecorino, tanto da essere documentato nella cucina napoletana almeno dal '500.

 

Una tradizione ignota ai più.

Le complesse ragioni storiche e politiche che determinarono un aumento dello squilibrio economico tra il nord ed il sud del paese; finirono per coinvolgere anche la letteratura gastronomica. Per gran peate del periodo che intercorse tra l’opera di F. Palma (1881, Il principe dei cuochi), e quella del Consiglio A. (1959, La storia dei maccheroni), questa antica tradizione fu di fatto quasi ignorata. Anche in questo aspetto è possibile ravvisate alcune delle ragioni che impedirono di cogliere nelle ricette di questi autori, una fonte di ispirazione per la “carbonara”.

 

Fatti e leggende

Nell’introdurre questa parte del discorso, occorre ben distinguere i fatti dalle ipotesi ed il probabile dall’improbabile. Questa considerazione non sembra coinvolgere le ipotesi avanzate più di recente sulla origine della pietanza; quasi  che bastasse un semplice “si dice” per rendere veritiera una tesi che appare mossa da ragioni di parte.

Quindi pur considerando la nostra ipotesi valida e con il maggior riscontro di dati, continuiamo ad annoverarla in questa sezione.

Su quanto esposto fin ad ora non sembrano esservi dubbi, pochissimi, per non dire nulle le possibiità che alla genesi della pietanza abbiano contribuito i rudi carbonai appenninici; nemmeno sembrano esservi dubbi sulla origine romana della pietanza.

Tuttavia come talvolta accade, la ricetta risulta straniera in casa sua. Anzi le fonti confermano che la Carbonara non sarebbe altro che una rivisitazione romana, in chiave “americana”, di ricette della tradizione partenopea.

Fatti

Non resta che chiedersi come possa essere accaduto che da Napoli, la ricetta abbia fatto il gran salto per comparire in una nuova veste e con un nuovo nome a Roma nel bel mezzo di una Guerra.

Fin ad ora i fatti.

Quello che segue invece lo possiamo solo (ragionevolmente) ipotizzare.

Gli “Americani”

Tra i vari aneddoti che tornano con una certa frequenza ad ogni ricostruzione che intenda investigare le origini di questa pietanza, figurano immancabilmente le truppe “americane” .

Certo è improbabile che questa parte del racconto possa mai essere completamente svelato, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Tuttavia non essendo noi in un’aula di giustizia, possiamo azzardare alcune ipotesi, poiché se è vero che tre indizi non fanno una prova in tribunale, è certo che quegli stessi indizi presi uno ad uno offrano una quadro complessivo di ciò che verosimilmente accadde.

Napoli — Roma

Solo 150 km. separano queste due città; questo ne fa un fenomeno in chiave storica probabilmente unico. La relativa prossimità geografica, ha avuto nel corso dei secoli diversi risvolti, talvolta allontanando le due città, più spesso avvicinandole rendendole un unico grande agglomerato urbano, pur nelle rispettive differenze.

Uno di questi avvicinamenti avvenne sul finire della Seconda guerra mondiale, quando le stesse truppe che occuparono Napoli entrarono poi un una Roma città aperta.

Salerno

Il 9 settembre del 1943 il V corpo d’armata americano[43] affiancato da alcune truppe alleate sbarcò a Salerno. Dopo nove giorni di intensi combattimenti, il primo ottobre 1943[44] gli alleati al comando del gen. Mark Wayne Clark, entrarono in una Napoli[45] oramai liberata.[46]

Misfatti

Molto si è scritto sulla permanenza dei militari “americani” nel capoluogo campano.

Racconti di miseria e di speranza,[47] di tragedie e di amicizia; avvenimenti che segnarono la memoria di chi visse quei giorni in prima persona. Uno scenario nel quale non dovettero essere pochi, i “John” ed i “Paisà” che ebbero a confrontarsi con la “cultura” partenopea; non ultima con la sua millenaria tradizione gastronomica.[48]

Più grande è la tragedia, maggiore è la ricerca di conforto nelle piccole cose quotidiane. Non possiamo quindi dubitare che molti di quei John abbiano cercato, e  spesso anche trovato ristoro nel corpo e poi anche nello spirito, in una delle molte ricette della tradizione napoletana. Non di sola cioccolata, polvere di piselli o di uova, si nutre il corpo (e lo spirito) di un reduce. Qualunque sia il campo di battaglia nel quale si deve cimentare. Un do ut des, del quale non rimane memoria alcuna, ma che certamente dovette ripetersi spesso in quei giorni.

Che ciò sia avvenuto ad opera di premurose monachelle, in antichi chiostri medioevali di S. G. a Carbonara[49]; oppure si sia trattato dell’opera ristoratrice di compiacenti “signorinelle”, non ci è dato sapere. Ciò che invece è certo, è che quelle stesse truppe, solo nove mesi dopo entrarono in Roma[50]. Come possano essere svolti i fatti, a questo punto, possiamo solo ipotizzarlo.[51] Certo è che se, in forza delle razioni militari di cui erano forniti,[52] una volta giunti nella città eterna avessero voluto replicare, personalmente o per mano di un anonimo “genio”, quelle stesse ricette – proprio per come la facevano “alla Carbonara” (ViaChiesa o chiostro che fosse) – non avremmo di che chiederci perché: a Roma, e perché alla Carbonara. Ma come ho detto, questa parte della storia, forse non la conosceremo mai.



Appendice

La tradizione napoletana.

Alcune delle ricette che elencate di seguito, fanno ancora parte della tradizione culinaria partenopea. Per meglio illustrare quelle che appaiono delle innegabili affinità  ci serviremo anche del supporto di alcune immagini.

 

È importante segnalare a chi non ne fosse a conoscenza che queste minestre,[53] pur se con procedimenti ed ingredienti diversi, hanno lungamente fatto parte dell’alimentazione popolare di gran parte del paese. Ciò che le rende tipicamente “napoletane” oltre alla inusuale presenza della variante con la salsa della “carbonara”, è rappresentato dalla presenza della pasta secca. 

Le ricette:

Pasta e… (Piselli, zucchini), caso e ova, trippa alla pasticciola, spezzatino con piselli etc... Sono diverse le ricette della tradizione partenopea che contemplano la variante con una salsa viene usata per la  carbonara. Di seguito ne illustreremo alcune. 

La tecnica:

Nel caso delle minestre si procede con la preparazione di un soffritto a base di: cipolla, pancetta (un tempo era costume usare il lardo) ed un filo d’olio o, per quanto possa oggi apparire strano, il burro, a cui si aggiungono successivamente i piselli (o zucchine a tocchi), ed un poco di acqua. Una volta cotti gli ortaggi, si procede con l’aggiunta di una quantità di acqua sufficiente a garantire la cottura della pasta. Si riporta il tutto ad ebollizione e si procede versando il formato di pasta preferito, generalmente: Ave Maria, spaghetti spezzati, oppure pasta mista.[54] Si porta poi a termine la cottura della pasta.


Le Immagini

 


Fig. 1 - Minestra di piselli

 



Fig. 2 – Minestra (di zucchini)

                                           


        

Fig. 3 - Caso e Ova




La Salsa

In una ciotola o in un piatto, si prepara una salsa (come per la carbonara) che contempla come ingredienti le uova, il pepe ed abbondate formaggio grattugiato (da sempre[55] nella cucina napoletana il parmigiano è quello maggiormente utilizzato).[56]

 

               


 





 

Terminata la cottura si procede aggiungendo la salsa alla pietanza (minestra di zucchini, di piselli o di altra pietanza che ne preveda la variante) per la mantecatura finale.

 

 

 

 

Figura 4 - Mantecatura

 


 

Figura 5 – Pasta e piselli con scorzette di Parmigiano e salsa all’uovo

Il risultato finale


 



Figura 6 - Pasta e zucchini, nella variante senza salsa.

 




 


Figura 7- Pasta caso e ova[57]

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

 

De Gregorio Gennaro - aprile,